Citizen Journalism: arma a doppio taglio

Si è cominciato a parlare di Citizen Journalism con l'avvento del web, degli smartphone e dei social network. Ma credo che, se tornassimo indietro nella storia del giornalismo, troveremmo delle interessanti analogie con ciò che sta accadendo oggi, ovvero la partecipazione attiva dei cittadini al mondo dell'informazione.

La prima forma di partecipazione cittadina al giornalismo, si può trovare nella Parigi del 1630 con Theophraste Renaudot, che pubblica "Bureau d'addresses et des rencontres": il primo periodico dedicato interamente alla compravendita di beni e alle domande od offerte di lavoro. I lettori erano invitati a partecipare attivamente alla costituzione del giornale attraverso i propri annunci, portando la stampa ad occuparsi della quotidianità e non più solo delle notizie a carattere internazionale che servivano ai mercanti per commerciare (maree, pirati, venti) o eventi politici di cui si interessava la corte. Era un periodico creato da un editore ma portato avanti dal popolo. In seguito Renaudot riceverà il permesso regio di redigere un settimanale, la "Gazette", tipico esempio di giornale in livrea, ovvero organo ufficioso del potere politico, che diede avvio alla stampa periodica francese: essendo dedicata a corrispondenze dall'estero di vario genere, sarà anche il primo a porre il problema dell'autorevolezza delle fonti, da cui dipende in larghissima misura il lavoro del giornalista.
Spostandoci in Inghilterra, al tempo di Carlo II Stuart, vigeva un forte regime di censura gestito dalla Stationers' Company e in cui lavora Henry Muddiman, direttore di "Parliamentary Intelligencer" e di "Mercurius Publicus". Dal momento che i giornali di corte non esauriscono l'entità dell'informazione di cui il Paese necessitava, nascono dei "newsletters" clandestini (si dice animati dallo stesso Muddiman) che vengono discussi nelle coffee-houses, dove si radunano gli oppositori della corona. Grazie ad essi prendono forma le correnti whig e tory che ancora oggi distinguono le parti politiche inglesi. Si può dire, che il popolo inglese ha creato la propria politica con il dissenso per la censura. Interessante notare come nello stesso periodo, in Francia, nascono opuscoli simili noti come "mazarinades": erano pamphlet satirici contro il cardinale di corte Richelieu (il nome è preso dal fatto che i redattori di questi manifesti erano seguaci di Mazarin, cardinale avversario di Richelieu), portati avanti dal movimento antiassolutista chiamato "Fronda". Contemporaneamente in due dei più importanti Paesi europei del '600 si sviluppano organi di stampa illegali, portatori del dissenso della popolazione civile: anche senza il web. Le consonanze con il citizen journalism attuale sono evidenti, soprattutto se si pensa che spesso si tratta, oggi, di "controinformazione" avanzata dai semplici cittadini nei confronti della stampa e del governo; in particolar modo in Italia, dove i giornali sono accusati di essere manipolati dalla politica e quindi di non riportare le notizie in modo imparziale. In questa situazione, i cittadini devono recuperare le notizie da soli.

Ma facciamo un salto di secoli per avvicinarci alla nostra epoca.

Negli anni '60 del Novecento, negli Stati Uniti, nasce il cosiddetto "advocacy journalism" (giornalismo militante) che si sviluppa contemporaneamente alla guerra del Vietnam. L'idea dell'advocacy journalism rappresenta un'anticipazione della stagione del Sessantotto, ritenendo fondamentale la moltiplicazione delle voci della stampa indipendente, "underground", lontana dai poteri forti e quindi parte di una controcultura che porti in primo piano l'opinione pubblica: chi ha un'idea differente da quella imperante comincia ad esprimerla più liberamente, fornendo una lettura della realtà diversa da quella presentata dai media nazionali. Il ricorso a tecnologie economiche come il ciclostile incoraggia una democratizzazione della professione giornalistica, per cui ognuno può scrivere ciò che pensa e stamparlo: una sorta di antenato dei blog. Tutto ciò porta di certo ad una più ampia libertà d'espressione e partecipazione, ma anche ad una sovrabbondanza di mezzi di comunicazione, per cui la domanda è: dove sta la verità? Secondo Altheide e Snow, il giornalismo rischia di trasformarsi in post-giornalismo che tratta e ricicla informazioni prodotte da altri rinunciando ad un lavoro di inchiesta, conoscenza, approfondimento, interpretazione: la pluralità dei media non è garanzia di pluralismo interpretativo. E' il rischio che possiamo associare ai blog: tutti tengono ad esprimere la propria opinione, il che può essere interessante ed utile, ma esiste il pericolo di sovraffollare il web con le stesse notizie ripetute centinaia di volte. Del resto, per scrivere un blog è necessaria una connessione internet, un pc o tablet o smartphone: si può scrivere seduti da casa, senza avere idea di cosa voglia dire "andare a caccia" di notizie, si può scrivere alla fermata dell'autobus o al bar. Si può riportare una notizia senza staccare gli occhi dallo schermo. Senza contare che stiamo andando verso una "opacità sociale": l'affollamento di giornali elettronici determina una sovrapproduzione di contenuti informativi e quindi una tendenza involontaria all'omologazione.


Un esempio di citizen journalism primordiale è anche il sito Spot.us, creato nel 2008 da David Cohn, di "community powered reporting", cioè una bacheca di spunti di inchieste proposti dagli utenti di San Francisco. Quando la redazione ha raccolto i finanziamenti necessari per eseguire l'inchiesta tramite le offerte dei visitatori del sito, parte ad indagare mettendosi così a disposizione di ciò che i cittadini vogliono conoscere. Per evitare il rischio di un'informazione pilotata, Spot.us ha messo un tetto massimo ai finanziamenti individuali, ma i dubbi sulla sua indipendenza restano. In questo caso la persona si limita a chiedere di avere una certa informazione, non la va a cercare in prima persona: si tratta comunque di un passo importante dal momento che rende Internet uno strumento di relazione sociale, poi evoluto nei social network.
Il citizen journalism acquista rilevanza a livello mediatico, portando alla ribalta i blog, con gli attentati di New York nel 2001: i cittadini utilizzarono il web per raccontare in diretta quei giorni drammatici, foto e filmati vennero poi ripresi da giornali e telegiornali. Il newsgathering passa di mano dai giornalisti professionisti alle persone comuni. I blog diventano anche mezzo di denuncia di falsa informazione con la creazione di siti web da parte di alcuni soldati statunitensi in missione a Baghdad, durante la seconda Guerra del Golfo (2002-2003), che scrivevano sotto pseudonimo riportando le loro versioni sul conflitto, spesso discordanti con quelle delle autorità militari.

Internet diventa il luogo di contenuti user-generated, cioè creati in modo spontaneo dagli utenti e offerti ad una discussione pubblica che può svilupparsi senza limiti spazio-temporali. Non a caso, la tradizionale copertina del "Time" dedicata al personaggio dell'anno, nel 2006 si intitolava "You" in omaggio alla trasformazione del sistema dei media. Non dimentichiamo lo scandalo causato da Wikileaks e da Julian Assange, che è tutt'altro che un giornalista (di recente è uscito un film sull'argomento, "Il quinto potere"): la pubblicazione nel 2010 di documenti americani riservati che hanno messo a nudo la diplomazia statunitense, senza filtri, grazie alla casella di posta protetta e anonima che Assange aveva messo a disposizione degli utenti, rappresenta un'applicazione estrema di crowdsourcing, ovvero la mediazione giornalistica scompare, il rapporto fonti-giornalista si rovescia per cui sono le prime a dominare la scena. Il pericolo di questo genere di giornalismo è il fatto che, trattandosi di informazioni riservate e sensibili, si rischi di mettere a repentaglio la vita di molte persone. Come ha dichiarato la direttrice di Le Monde al festival di Internazionale a Ferrara di quest'anno, il lavoro del giornalista deve tenere conto che in ogni inchiesta si a che fare con la vita delle persone e si deve cercare di tutelarla. Questo è un altro rischio del citizen journalism quando diventa di rilevanza internazionale.

Il citizen journalism è una finestra sul mondo che permette a giovani aspiranti giornalisti di farsi conoscere, ma è un'arma a doppio taglio, come insegna la storia. Si tratta di un fenomeno che di recente ha assunto rilevanza di cronaca ma che, fondamentalmente, è sempre esistito, in varie forme e tipologie. Di certo, si possono aprire ancora molte finestre sull'argomento, ognuna con una dissertazione pressoché infinita: il fenomeno di giornalismo attuato dai social network è in continua espansione, tutti i giorni, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Il mondo del giornalismo ha avuto varie forme, si è evoluto ed è cambiato con la società, ma ha sempre mantenuto una peculiarità: l'influenza sull'agenda-setting. Credo che questo sia il filo conduttore che unisce traditional journalism e citizen journalism: elemento che non penso scomparirà, né nel giornalismo tradizionale, né nel giornalismo partecipativo.


Silvia Moranduzzo

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