... Ad un tratto Pinelli cascò

"Se credi in uno Stato di diritto pensi che la magistratura sia al di sopra di tutto quanto. C'era in me questo credere fermamente che i magistrati avrebbero fatto luce completa. Poi ti arrivano le delusioni, una via l'altra, e malgrado tutto credi lo stesso. Oggi sono molto più scettica"
Licia Pinelli, Una storia quasi soltanto mia (Feltrinelli, Milano 2009)

Il 12 dicembre 1969 scoppiò una bomba alla Banca dell'Agricoltura di Milano, in piazza Fontana. Morirono 17 persone e furono ferite 88. E' la data che segna l'inizio delle stragi in Italia, comunemente chiamata "strategia della tensione", anche se era da tempo che si respirava un'aria pesante, tanto che alcuni pensavano alla possibilità di un colpo di Stato. Quel giorno, venne trovata una seconda bomba in piazza della Scala, sempre a Milano, e una terza scoppiò a Roma, ferendo 13 persone. 
Cominciò qui l'odissea di Licia Pinelli, moglie di Giuseppe, anarchico fermato dalla polizia di Milano perché sospettato di essere il responsabile della strage. Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, alcuni giornalisti arrivarono a casa Pinelli e la informarono che il marito era caduto da una finestra della questura. La donna telefonò immediatamente all'ufficio del commissario Calabresi chiedendo notizie di Giuseppe e questi le rispose che l'anarchico si trovava in ospedale, ma non sapeva dirle in quali condizioni.

"Perché non mi ha avvisata?"
"Ma sa, signora, abbiamo molto da fare."

Questa fu la risposta di Calabresi. La polizia sostenne la tesi per cui Pinelli, dal momento che era colpevole e aveva capito di non poter uscire pulito da quella storia, si sarebbe lanciato dalla finestra. Tuttavia, cambiò versione poco più avanti, sostenendo che l'anarchico era caduto a causa di un malore. Si scoprì che la bomba in piazza Fontana non era opera di anarchici ma di neofascisti, grazie alle indagini del magistrato Pietro Calogero, lo stesso che decapiterà il vertice di Autonomia Operaia dieci anni dopo. Calogero scoprì che Franco Freda e Giovanni Ventura, due membri di Ordine Nuovo, avevano acquistato qualche mese prima una grossa quantità di timer uguali a quelli utilizzati per far scattare la bomba di Milano e una borsa identica a quella rinvenuta sul posto che aveva contenuto l'esplosivo.
La strage resterà impunita nonostante gli indizi raccolti dalla magistratura.

Licia Pinelli dovette sopportare le dichiarazioni infamanti nei confronti del marito innocente, dovette spiegare alle sue figlie, di 8 e 9 anni, come era morto il padre, e dovette seguire la vicenda giudiziaria che aveva deciso di mettere in piedi: la vedova Pinelli denunciò il questore Guida per diffamazione e nel 1971 denunciò il commissario Calabresi e i presenti in questura al momento della morte del marito per omicidio volontario, sequestro di persona, violenza privata e abuso d'autorità. Queste denunce erano il solo modo che aveva di ottenere giustizia per Giuseppe. L'istruttoria, affidata al giudice D'Ambrosio, venne archiviata nel 1977 motivando la morte di Pinelli come un "presunto malore attivo". Licia non ricorse in appello e venne condannata a pagare le spese processuali. Tutte le vie legali erano state perseguite, non poteva fare altro che cercare di crescere le sue figlie nel modo più sereno e dignitoso possibile.

Il libro "Una storia quasi soltanto mia" aiuta a capire come storie private, come quella della famiglia Pinelli, abbiano anche un risvolto pubblico. Un innocente è morto senza ottenere giustizia, come innocenti senza giustizia sono le persone morte nelle stragi avvenute in Italia tra il 1969 e il 1980. Pinelli e le vittime di piazza Fontana sono sullo stesso piano e in entrambi i casi non c'è un colpevole. Nel libro, Licia scrive:

"E' successo a Pino perché era anarchico, domani può succedere a qualsiasi altro, non importa se fa politica, se ha idee politiche o anche se è senza fede politica. Non è che ci sono sempre gli anarchici, può capitare a tutti. Se la gente riuscisse a capire questo. Perché c'è sempre bisogno di un capro espiatorio quando non si vogliono scoprire i colpevoli e il capro espiatorio diventa il mostro."

Nonostante Pinelli non abbia ottenuto giustizia in tribunale, un riconoscimento venne dato il 9 maggio 2009, quando il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dichiarò Giuseppe Pinelli come la 18° vittima di piazza Fontana. Licia venne invitata al Quirinale e incontrò per la prima volta la vedova Calabresi: due donne che hanno combattuto dai lati opposti ma accomunate dallo stesso dolore.

"I fatti sono fatti, le famiglie non c'entrano, le famiglie non hanno nessuna responsabilità dei fatti. Anzi, sono tutte vittime allo stesso modo. E poi vedi questi figli, che erano piccolissimi, che sono adulti oggi, e non puoi, non devi assolutamente prendertela con i figli."

In questa storia la giustizia lascia da sole le vittime delle stragi e le loro famiglie che devono fare i conti non solo con la perdita di un loro caro ma anche con la perdita della verità su quelle morti.


Silvia Moranduzzo

Commenti

Post popolari in questo blog

Arcella, sicurezza dalla luce Giordani: Led nel quartiere e per la zona della stazione

La battaglia di mister "Mocio Vileda": "Un centro commerciale davanti al Catajo? Se lo faranno chiuderò al pubblico il castello"

Sciarpe rosse e lacrime per l’addio a Giselda