"Non sposate le mie figlie": ridere per riflettere

  “Che cosa abbiamo fatto di male al buon Dio”
“Non lo so, ma questa volta vedo tutto nero!”


Venerdì 30 giugno 2016 è andato in onda su Rai Uno un film francese intitolato “Non sposate le mie figlie”, una commedia del 2014 diretta da Philippe de Chauveron che ha come protagonista principale Christian Clavier, noto in Europa soprattutto per aver dato il volto ad Asterix, il celebre Gallo dei fumetti creati da Goschinny e Uderzo, nei film a lui dedicati.
La pellicola è incentrata sulle vicende di Claude e Marie Verneuil, una coppia borghese e cattolica che abita nel paesino di Chinon e genitori di quattro figlie: Isabelle, Odile, Ségolène e Laure. La loro vita, apparentemente perfetta, viene scossa dai matrimoni delle prime tre figlie: Isabelle si sposa con Rashid, un avvocato di origine algerina; Odile si sposa con David, un imprenditore francese di origini israeliane; e Ségolène con Chao, un banchiere cinese.
I rapporti tra Claude e Marie con i tre generi non sono dei migliori e le incomprensioni sono quasi sempre all’ordine del giorno, dettate soprattutto dal (poco sottile) razzismo e dai pregiudizi che soprattutto Claude nutre verso i generi. A fare da contraltare ci sono anche le incomprensioni tra i tre generi stessi, che non riescono a sopportarsi.
E' Marie a capire di avere dei pregiudizi verso i generi e per questo cerca di migliorarsi e riallacciare i rapporti anche per amore delle figlie e dei nipotini. Le cose sembrano lentamente trovare un equilibrio, soprattutto grazie alla notizia dell’imminente annuncio del fidanzamento della figlia Laure con Charles, un attore proveniente da una famiglia cattolica; questo sarebbe infatti il matrimonio in chiesa tanto atteso e desiderato da entrambi i genitori, che lo vedono come un ulteriore miglioramento della situazione famigliare.
Ma… cosa succede quando si scopre che Charles è un ivoriano e che anche suo padre nutre dei pregiudizi verso i bianchi? Altri stravolgimenti e un delicato equilibrio, trovato con tanta fatica, che rischia di rompersi davanti all’entrata in famiglia di un africano!

A causa di tutte le gag e le discussioni che hanno un sottofondo molto buffo e che servono ad alleggerire la vicenda, il film serve soprattutto a far riflettere sulla psicologia dei personaggi.
È ovvio che in questa analisi si parta da Claude: borghese, cattolico e gollista, si mostra all’inizio del film tollerante solo a parole e poco quando è davanti ai fatti; ogni volta che viene fatto cenno in maniera nemmeno troppo nascosta del suo razzismo da parte dei tre generi, la sua risposta inizia sempre con l’incipit: “sono gollista, ma…”. Sentirsi dare del razzista per lui è offensivo, pure davanti all’evidenza; non a caso, a casa della figlia Ségolène a Parigi, durante una litigata in cui viene accusato di razzismo dai tre generi, Claude replica irritato: “Sono calmo, ma non accetto che mi si dia del razzista!”. E quando è il momento di scusarsi (anche se con una certa riluttanza), Claude ritorna sempre sullo stesso ritornello: “In quanto gollista ero veramente dispiaciuto di essere considerato razzista!”; un ritornello che per lui diventa quasi una coperta di Linus contro chi lo accusa di essere ciò che lui rifiuta di essere e che lo porterà, ad un certo punto del film, a delle rivelazioni incredibili con il futuro consuocero africano, André.
La moglie, Marie, è la prima ad avere dei dubbi sulle sue convinzioni: dopo che le viene diagnosticata una depressione per la mancanza delle figlie e dei nipotini e per la situazione difficile con i tre generi, e dopo delle conversazioni con il parroco e lo psicologo, non può fare a meno di chiedersi dove stiano sbagliando anche lei e Claude. Non a caso nel film pronuncia delle parole che aprono la via alla ricerca di questo nuovo equilibrio familiare: “Prima di chiedere a loro di capirci, dovremmo essere noi a farlo”, riflessione che genera in Claude il classico commento sulla falsariga di “abbiamo fatto tutto il possibile” (quando in realtà gli sforzi erano stati pochi). La scoperta che il tanto desiderato genero cattolico sia africano ovviamente la destabilizza all’inizio, ma grazie allo psicologo e alla futura consuocera Madeleine riesce a sbloccarsi da questa situazione, facendo tutto il possibile per realizzare il sogno della figlia minore.
Le scene più divertenti (che fanno comunque riflettere) sono quelle che vedono protagonisti i tre generi, Rashid, David e Chao: inizialmente i tre non si sopportano e ognuno di loro esaspera l’altro, anche se sono presenti delle accoppiate per sopraffare il terzo – Chao viene zittito in malo modo da David e Rashid perché si intromette nelle loro discussioni su quando fare la circoncisione e perché è meglio farla presto o tardi, Rashid lascia che Chao usi una mossa di arti marziali su David quando questi lo offende e altre “piccole” scaramucce. Le litigate vengono appianate con la cena di Natale organizzata da Marie con l'intento di riappacificare gli animi e vedono addirittura una collaborazione per un progetto imprenditoriale tra i tre generi; ma anche loro sono comunque vittima di pregiudizi quando Charles fa capolino, in quanto ritengono che il fragile equilibrio che finalmente si era creato rischi di rompersi proprio quando stava cominciando a rafforzarsi. I tentativi di screditare Charles agli occhi di Laure sono tanto buffi ma quanto fallimentari, ma alla fine l’apertura verso il nuovo arrivato è comunque dietro l’angolo.
Ma anche in Africa troviamo dei pregiudizi, stavolta verso i bianchi, rappresentati da André, il padre dello sposo: avendo fatto il servizio militare con i francesi, non fa altro che raccontare al figlio, con l’intento di dissuaderlo dal suo matrimonio con Laure, quanto sia stato trattato male solo perché nero (mentre in realtà la moglie gli rinfaccia di avere un carattere difficile che l’ha portato a discutere con chiunque, bianco o nero che fosse) e di quanto l’uomo bianco abbia sfruttato l’Africa fino a quasi lo sfinimento (qui non gli si può certo dare torto); non a caso questa è la sua scusa per pretendere che a pagare l’intero matrimonio siano i Verneuil (“L’uomo bianco ha sempre depredato l’Africa e in qualche modo deve pagare!”).
In mezzo a tutto questo ci sono le quattro figlie: determinate, sensibili (anche troppo, nel caso di Ségolène) e soprattutto decise a cercare la loro felicità con gli uomini che hanno sposato senza farsi annebbiare da delle stupide generalizzazioni; sono le prime a rimproverare ai genitori i loro pregiudizi verso i generi davanti a scelte di nomi come Mahmoud o a cerimonie come la circoncisione o a pranzi dove viene servita carne di struzzo. E Isabelle, Odile e Ségolène sono le prime a supportare Laure e la sua scelta di sposare Charles, anche contro il parere del padre.

Alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni in Europa e nel mondo, trovo che questo sia un film che, in mezzo a tante risate, nasconde un messaggio che, anche se potrebbe sembrare scontato e ovvio, è comunque importante: non giudicare mai l’altro senza conoscerlo e non lasciarsi abbindolare da pregiudizi o generalizzazioni. Conoscere l’altro vuol dire aprire gli occhi su una cultura nuova che può presentare luci e ombre, ma sta a noi vedere il meglio di quella nuova cultura, sta a noi conoscerla e approfondire aspetti che non conoscevamo proprio grazie a chi proviene da quell’ambiente.
Quando ci arrabbiamo perché all’estero c’è la classica equazione “Italia=Mafia” e poi critichiamo chi viene da un altro paese in base ai nostri pregiudizi, diventiamo parte di una categoria non proprio onorevole: la categoria degli ipocriti, semplicemente perché non pensiamo che quelle generalizzazioni e stereotipi che affibbiamo agli stranieri possano ferirli.
La frase di Claude “sono gollista, ma…” ricorda tanto quello che scrivono oggi molti leoni da tastiera su internet: “non sono razzista, ma…”; per Claude essere gollista vuol dire sentirsi al di sopra di ogni rimprovero ed è il pretesto per attaccare chi non conosce, che è esattamente ciò che fa chi dice di non essere razzista e subito dopo aggiunge quel “ma”. Anche frasi come queste spediscono di diritto chi le pronuncia nella categoria degli ipocriti e sempre per le ragioni spiegate sopra: per affibbiare degli stereotipi a persone di un’altra cultura, senza darsi la pena di verificare se corrispondono alla realtà o se li stiamo ferendo.

Con le sue risate e il suo happy ending assicurato il film riesce a divertire e a far riflettere allo stesso tempo; soprattutto se desiderate trovarvi per una sera in una famiglia dove lo champagne è probabilmente Kasher, dove si discute se è meglio fare la circoncisione appena nati o da bambini, dove un cinese vuole lanciare sul mercato cibi Halal e Kasher biologici insieme a un musulmano e a un ebreo, dove potete mangiare del tacchino laccato o ballare delle danze tribali sotto le stelle in compagnia di Groucho Marx, Jackie Chan, Arafat e un ragazzo che “abita con Catherine Deneuve”.


di Francesca Santinello

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