"Un atomo di verità": non solo Aldo Moro

Un racconto a tratti introspettivo fatto di sensazioni e ricordi. Marco Damilano rievoca le sue memorie di bambino sul rapimento di Aldo Moro in “Un atomo di verità” (Feltrinelli, 2018) per poi divagare. Passa da Pasolini a Sciascia per approdare a Craxi in un vortice di domande, dubbi, segreti e storia. Non il solito saggio sullo statista democristiano, dunque, ma una narrazione di vicende che seppur lontane si intrecciano. Tra le righe si può individuare la penna del giornalista che non smette di essere inquisitore: leggendo bene, infatti, si può cogliere un’analisi dura sulla politica italiana, ormai ridotta a teatrino di burattini.

La politica non coltiva più la speranza ma la paura dei cittadini e la loro rabbia. Genera frustrazione negli elettori, perché promette quello che non riesce più a dare, e prova a guadagnare consenso sulla frustrazione che ha generato. È una politica che si propone come trasparente, amichevole, vicina, ma per certi versi è più oscura di prima. Le menzogne del potere erano un velo che separava il Palazzo dalla società, oggi sono uno strumento che modifica il dibattito pubblico, produce leadership nevrotiche, destabilizza le istituzioni”.

La fine della Repubblica istituitasi dopo la seconda guerra mondiale con il contributo di grandi personaggi politici. Per scrivere il libro, Damilano ha studiato le carte personali di Aldo Moro custodite nell’archivio privato di Sergio Flamigni a Oriolo Romano, un piccolo paese in provincia di Viterbo vicino al lago di Bracciano. Flamigni è un ex partigiano comunista, eletto in Parlamento con il Pci, membro della commissione parlamentare antimafia, della commissione d’inchiesta sul rapimento Moro e sulla Loggia P2. Man mano che la sua attività procedeva depositava in quella casa gli atti parlamentari fino a che non ha costituito un vero e proprio “deposito della memoria”.
Ne esce un testo nuovo, diverso da quelli apparsi finora. Sul caso Moro sono stati scritti decine di libri, da saggi a romanzi ma “Un atomo di verità” è differente. Per il suo approccio personale, la sua visione disincantata della politica, la sua analisi tranchant, le tante visioni inusuali che si alternano.


Eravamo bambini sconvolti da un evento traumatico, riportati a casa per mano dai genitori perché avevano rapito Moro. Quel giorno siamo diventati grandi. I ricordi dei bambini, come dicevo, sono emotivi, restano fissati per sempre. Non toccava a noi salvarlo, quella mattina in via Fani, salvare Moro, e Leonardi, Ricci, Zizzi, Iozzino, Rivera. Ma tocca a noi, invece, continuare il cammino per diventare una democrazia adulta, avere sempre fame di giustizia, sete di un atomo di verità”.

di Silvia Moranduzzo

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