The Bling Ring

Nel 2006 usciva nei cinema “Marie Antoinette” di Sofia Coppola, la figlia del grande e rinomato regista Francis Ford Coppola; la storia era quella della giovane principessa austriaca (diventata poi regina) data in sposa al Delfino di Francia, raccontando il passaggio dalla corte austriaca a quella francese e il passaggio dall’innocenza e immaginazione dell’adolescenza al peso, alla responsabilità e alle conseguenze della vita adulta.
Questo film fu ritenuto la conclusione del ciclo di opere che la regista ha dedicato alle sfumature più torbide e problematiche della giovinezza iniziato con il film “Il giardino delle vergini suicide” (1993, con Kristen Dunst, tratto dal romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides); questo ciclo però, secondo me, può considerarsi lungi dall’essere terminato, in quanto si può aggiungere tranquillamente l’ultimo film di Sofia Coppola uscito il 26 settembre: “The Bling Ring”.
Il film è tratto da una storia vera: un gruppo di adolescenti di Los Angeles, ossessionati dalle star di Hollywood, decidono di rapinare le loro case quando questi sono lontani dalla città per vari eventi (premiere, feste, sfilate, ripese di film), accumulando (e in alcuni casi vendendo) oggetti per un totale di 3 milioni di dollari in beni di lusso; le rapine avvennero tra l’estate del 2008 e l’estate del 2009 e i rapinati, in particolare, furono l’ereditiera americana Paris Hilton e gli attori Orlando Bloom, Rachel Bilson e l’ex bambina prodigio Lindsay Lohan. Alla fine, il gruppo viene incastrato da un video del sistema di sorveglianza di una delle case trafugate; in seguito avviene un processo, che condanna i due leader del gruppo, Rebecca Ahn e Marc Hall, a quattro anni di carcere, e il resto del gruppo, Nicki Moore e Chloe Trainer, lasciando impunita la sorellastra di Nicky, Sam Moore, poiché quest’ultima non era apparsa nel video che incastrava la gang. Tra gli arrestati ci furono anche Rob e Ricky, i ragazzi di Chloe e Sam, che ogni tanto si aggregavano al gruppo al momento di vendere la merce rubata.

Cosa si potrebbe dire di questo film? A prima vista sembra il classico film dove “i cattivi” derubano “i buoni” e alla fine la giustizia prevale.
Ma siamo veramente sicuri che si tratti di questo?
L’attore Johnny Depp, in un’intervista, disse che “i bambini non dovrebbero mai crescere a Los Angeles. Los Angeles ti ruba l’infanzia”. Non posso fare a meno di concordare con questa frase, poiché questi giovani ladri che hanno rubato quelle ville non erano dei poveracci, ma ragazzi di famiglie benestanti della località Calabasas (vicino a L.A.), e alcuni dei genitori lavoravano addirittura nel mondo cinematografico come produttori. La cosa interessante che si vede nel film è come la loro innocenza sia sparita, tramutandoli in giovani senza un vero e proprio scopo nella vita e con una forte ossessione per le celebrità.
Indubbiamente, il personaggio che attira l’attenzione è Marc Hall, interpretato da Israel Broussard: un ragazzo ricco ma emarginato, che si sente accettato da Rebecca e dalla sua gang proprio a causa del suo coinvolgimento nella sequela di rapine; ci sono dei momenti in cui la fiducia di Marc nella sicurezza di Rebecca e delle ragazze vacilla, ci sono dei momenti in cui cerca di porre un freno a quei furti, ma la sua fermezza viene subito fermata dai soldi guadagnati e dall’ossessione per le celebrità. La sua amicizia con Rebecca è molto discutibile e da parte della ragazza si può notare quanto considerasse “l’amico” solo per avere aiuto nelle sue azioni. Da parte di Rebecca si può notare invece la totale assenza di pentimento per le sue azioni, la sua ossessione per il mondo delle celebrità che scorre a tal punto da voler continuare nonostante una delle star derubate posti sui social network un video della sorveglianza che mostri lei e Marc intenti a rubare; il climax di tutto questo avviene appena la ragazza incontra il suo avvocato

[dal film]
“Ha parlato con qualcuno di loro?”
“Ho parlato con tutti loro.”
“Davvero? E Lindsay [Lohan] che ha detto?”

Un altro personaggio davvero interessante è Nicky Moore (interpretata da Emma Watson): una ragazza che, come le altre della gang, è interessata alle feste, all’alcool, alla droga e ai vestiti; per giustificare le sue azioni dice che “tutto dipende dalle persone che frequenti”. Un modo come un altro per cercare di scaricare quella scomoda patata bollente sulle spalle degli altri dopo averci guadagnato in vestiti delle star. Alla fine del film la ragazza, dopo aver passato un mese in carcere, viene ospitata in un talk-show per parlare della sua esperienza, dove non solo non dimostra alcun cenno di pentimento, ma si dichiara innocente, approfittandone per farsi pubblicità.
Ma a mio avviso questo è un film che mette l’accento anche sulle colpe dei genitori: troppo ricchi e troppo impegnati con il lavoro, la loro assenza (o forse, viste le poche scene in cui hanno poche battute - superficiali - e il poco interesse mostrato verso i figli, dovremmo parlare di “non presenza”?) e il loro disinteresse verso quelli che dovrebbero essere gli adulti di domani hanno contribuito a spingere quei giovani senza una vera educazione a notti brave condite di “sesso, droga&discoteca” prima e a quei furti poi. Una scena a mio avviso molto importante è l’usuale “lezione d’educazione” che la signora Moore (interpretata da Leslie Mann) impartisce alla figlia Nicky e alla figlia adottiva Sam (interpretata da Taissa Farminga): una lezione sulle caratteristiche caratteriali di Angelina Jolie, seguendo una teoria ispirata al reality “The Hills”.
Questo dovrebbe essere un monito per tutti i genitori: volete che i vostri figli siano delle persone oneste e che possano essere utili per migliorare la società? Siate presenti, educateli con giusti valori e non rimanete ai margini della loro vita, interessatevi a ciò che accade durante la loro giornata!
Tuttavia non possiamo non condannare anche le star: quale persona sana di mente lascerebbe, non solo la porta di casa aperta, ma addirittura la chiave sotto lo zerbino? Se proprio ci tenevano, potevano scriverci sopra anche: “Prego, prendete pure ciò che volete!”. Inoltre la cosa che lascia stupiti non è solo il fatto di avere mille cose e vestiti che indossano solo una volta per poi lasciarli in un angolo dell’armadio, ma anche il fatto di lasciare i loro soldi in casa e in bella vista. È molto facile lamentarsi dei ladri, ma i soldi, se proprio non volete lasciarli in banca, almeno chiudeteli in una cassaforte.

Un’altra componente importante del film è, a mio parere, la colonna sonora: incalzante, a volte “spaccatimpani”, ma che riesce a far calare lo spettatore nell’atmosfera del film; la canzone scelta per dare inizio alla storia, “Crown on the ground” degli Sleigh Bells, la trovo molto azzeccata e riesce a dare il ritmo deciso e travolgente durante lo svaligiamento della villa che, più avanti nel film, si scoprirà essere di Orlando Bloom.
Riguardo al cast, credo che, a causa del doppiaggio (tutto sommato ben fatto), bisognerebbe guardare il film in lingua originale per poter dire se gli attori sono stati bravi, ma al momento possiamo basarci “solo” sulla loro mimica facciale: le espressioni dei loro visi sono in molti casi azzeccati, si riesce a passare tra l’indifferenza e la nonchalance con cui i personaggi sfilano lungo le strade di Los Angeles con i vestiti delle star (una scena emblematica del film, a mio avviso) alla concentrazione mista ad estasi durante i furti.
Il film è, per alcuni aspetti, anche una sorta di chiusura della nostra infanzia e adolescenza: mi riferisco a Emma Watson, che ha smesso i panni della “studentessa secchiona” e migliore amica di Harry Potter, per vestire quelli della giovane e audace (e procace!) ladra Nicky Moore; una scelta molto insolita, certo, ma che di sicuro riuscirà a renderla un’attrice camaleontica che riesce a passare con facilità da un ruolo ad un altro. L’unica cosa che oserei criticare del doppiaggio è la scelta della doppiatrice di Chloe (Giorgia Brasini): essendo il personaggio parecchio trasognato a causa della droga, dell’alcool e del fumo, forse era più opportuno scegliere una doppiatrice con una voce un po’ meno profonda.
Una nota di merito va anche alla sceneggiatura: i dialoghi sono molto graffianti, le parole sono sempre azzeccate per descrivere determinate scene e situazioni, per spiegare i vari stati d’animo; le battute migliori sono, a mio avviso, quelle di Marc: da una parte ci sono le parole di un ragazzo che cerca di essere accettato, dall’altra quelle di un ragazzo entusiasta di far parte di una gang e dall’altra ancora quella di un ragazzo in preda ai dubbi sulle sue azioni discutibili e alla rabbia e disperazione nel sentirsi come un animale braccato quando la situazione comincia a sfuggire di mano.

In conclusione, Sofia Coppola ha girato un altro film che fornisce un motivo di riflessione non solo sulla vita apparentemente dorata di Hollywood, ma anche sul ruolo dei genitori e l’educazione che dovrebbero dare ai loro figli e soprattutto sulla loro ossessione per la moda e le grandi firme - credo rimarrà impressa la giustificazione dei furti di Rebecca a casa di Paris Hilton con la scusa del suo amore per Chanel - facendo così dimenticare i giusti valori. È lo specchio migliore della società e dei giovani di oggi.
A Hollywood si vocifera che il film potrebbe guadagnarsi una qualche candidatura ai prossimi Accademy Awards; se sarà così, teniamo le dita incrociate, sperando che Sofia Coppola riesca a portarsi a casa la statuetta di miglior regista.


Francesca Santinello

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