Donne in conflitto - L'idea

"Donne in conflitto" è il racconto di un viaggio nei Territori palestinesi durante il quale ho intervistato donne di Gerusalemme, Betlemme e Ramallah. Donne di differenti ceti sociali, età e credo religioso. L'idea è nata nel 2016 per la tesi di laurea magistrale e sono partita nel luglio di quell'anno. Sono state due settimane molto intense, impegnative e indimenticabili.
Perché? Iniziamo con il dire che non mi piace la generalizzazione. E in questo libro ho cercato di affrontarne due: donne e mondo arabo. Le prime, se solo si accenna a discorsi come la parità, vengono tacciate di femminismo, una parola a dir poco abusata. Il femminismo non è un pensiero unico ma una grande corrente al cui interno vivono diverse espressioni, spesso contrastanti tra loro. 
Sul mondo arabo forse basta fare una domanda per capire quanto la generalizzazione è profonda e pericolosa: in quanti conoscono la differenza tra sciiti e sunniti? In Occidente, dopo la crescita di vari nuclei terroristici (differenti tra loro per obiettivi e affiliazione religiosa), la parola "arabo" viene equiparata a "terrorista" se non "fondamentalista". Non è così. Stile di vita e credenze all'interno del mondo arabo sono diversi, a volte opposti. 

L'idea di fondo era capire come vivono le donne palestinesi, cosa pensano e quali sono le differenze tra loro. Hanno risposto a tutto, anche alle domande più spinose su terrorismo e politica. Hanno raccontato difficoltà, sogni e privazioni offrendomi uno spaccato di vita che mi ha fatto riflettere. Per esempio, l'amore per i figli così forte da far sopportare qualsiasi angheria: nei Territori palestinesi la legge dice che una donna divorziata non può più vedere i suoi figli. Nelle zone periferiche viene lasciata morire di fame per strada, ripudiata dalla propria famiglia e dalla società. Allora meglio le botte del marito, visto che nessuno le tutela.

La scelta delle tre città non è stata casuale. Gerusalemme è il centro di tutto, della religione e della politica. Le dinamiche sono molto complicate e si giocano su due fronti: la Città vecchia e la parte est. All'interno della Città vecchia vivono a stretto contatto musulmani, cristiani, ebrei e armeni. L'equilibrio è fragile e antico, alcune donne mi hanno raccontato di conoscenti che, al rientro a casa, hanno trovato i soldati e sono stati obbligati ad abbandonare l'edificio. Problemi simili si riscontrano a Gerusalemme est dove manca anche la rete fognaria e parte dell'illuminazione stradale. Qui vivono la questione politica tutti i giorni sulla propria pelle, conoscono quasi tutti l'inglese e sono per lo più inclini ad accettare la soluzione dei due Stati (uno palestinese e uno ebraico, mai realizzata soprattutto per alcune controversie sui confini).
Betlemme è quasi l'opposto. Le religioni si mischiano con la cultura tanto che più che le leggi si seguono i testi sacri. Tabù e sottomissione sono all'ordine del giorno. Qui, in una casupola incastrata nella roccia, ho avuto una delle conversazioni che più mi hanno colpito. Due sorelle mi hanno descritto così l'amore: "I nostri mariti non ci picchiano tanto e ci danno da mangiare. Questo è amore". 
Si termina con Ramallah, considerata la capitale palestinese finché non sarà riconosciuta Gerusalemme. Le donne sono indipendenti e forti, anche le musulmane. La soluzione dei due Stati piace molto meno, si vive l'esistenza di Israele come una vera e propria occupazione, complice la stretta vicinanza con il checkpoint di Qalandia, uno dei più violenti di tutta la regione. 

Ecco, queste tre realtà credo siano rivelatrici della situazione. Ci sono donne forti e decise, donne che credono di non valere niente, donne che pensano di non essere in grado di parlare di politica, donne che si interessano di politica, donne che seguono la propria religione con estrema devozione, donne che vogliono la pace, donne che vogliono la guerra. E ovviamente il contesto in cui vivono le influenza.

di Silvia Moranduzzo

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