Trump-Netanyahu: "le relazioni pericolose"

Come annunciato in campagna elettorale, il neopresidente Trump persevera nel voler spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Tale decisione costituisce una provocazione nei confronti dell’amministrazione del suo precedessore, Barack Obama, e nei confronti dei Paesi europei che si sono uniti nel tentativo di riportare la pace tra israeliani e palestinesi. Una sorta di risposta alla già criticata conferenza di pace internazionale che si è tenuta nei giorni scorsi a Parigi. Non solo. E’ una decisione pericolosa nell’ambito della politica internazionale: un atto del genere significherebbe schierarsi apertamente a favore di Israele, ignorando le innumerevoli azioni contro i diritti umani che si verificano da decenni a questa parte. Se i palestinesi non fanno a Trump molta paura perché in effetti al momento sono decisamente deboli politicamente e militarmente, il tycoon dovrebbe riflettere sulla possibile reazione dei Paesi arabi circostanti alla Terra Santa e che non simpatizzano per la stella di David. Dove tutte le istituzioni internazionali prestano grande attenzione alla diplomazia per non alterare quei fragilissimi equilibri che impediscono lo scoppio di una guerra, Trump entra a gamba tesa come un elefante in un negozio di cristalli.
Forte della benevolenza statunitense, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che verranno costruite altre 566 case a Gerusalemme est, in piena zona araba. Non abbandona quindi la politica degli insediamenti, condannata innumerevoli volte dall’Onu. Netanyahu ha dichiarato di voler dare ai palestinesi uno “state minus”, cioè uno stato ridotto, dimostrando di non tenere in considerazione la soluzione dei due stati predicata dalla comunità internazionale da circa 60 anni. Gli insediamenti a Gerusalemme est sono uno dei motivi di maggior tensione con i palestinesi: l’area, infatti, è abitata quasi esclusivamente da arabi e la costruzione di case per soli israeliani equivale a uno schiaffo in pieno viso. Tale politica viene interpretata come ulteriore furto di terra e provocazione che, inutile dirlo, fomenta inevitabilmente il terrorismo palestinese. A Gerusalemme la situazione è particolarmente delicata vista la stretta vicinanza tra i due popoli e la presenza dei luoghi più sacri al mondo per le tre religioni monoteiste più diffuse (islam, ebraismo, cattolicesimo). 
Si è tenuta una lunga telefonata ieri sera tra Trump e Netanyahu. Quest’ultimo è stato invitato a Washington per l’inizio di febbraio. Sembra che il presidente statunitense abbia intenzione di seguire la strada di negoziati diretti per risolvere la questione della pace in Medio Oriente. La Casa Bianca riferisce che “la pace fra Israele e i palestinesi può essere solo negoziata direttamente fra le due parti, e gli Stati Uniti lavoreranno con Israele per compiere progressi verso questo obiettivo”. I due hanno discusso anche della minaccia nucleare iraniana: l’Iran ha comunque sospeso il suo programma nucleare dopo aver sottoscritto un accordo nel luglio 2015 con Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania e Unione Europea. Tuttavia, Israele non si sente al sicuro.

Un’alleanza così stretta tra Netanyahu e Trump non fa presagire nulla di buono. L’Autorità palestinese, al momento decisamente debole e inattiva, dovrebbe prenderne atto e cercare di mettersi ai ripari. Il buio sta per calare sulla Palestina.


di Silvia Moranduzzo

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