"C'era una volta la Ddr", un reportage che descrive gli orrori della Stasi

Voi due, violatore e vittima (collaborazionista! spalla!), siete legati, forse per sempre, dall’oscenità di quel che vi è stato rivelato, dalla penosa consapevolezza di ciò di cui è capace la gente. Siamo tutti colpevoli”.
Breyten Breytenbach, “The true confessions of an Albino terrorist

I traumi della storia sono difficili da descrivere. E’ complicato aggirarsi tra le memorie e i ricordi, tra le idee e le prese di posizioni. Forse solo un occhio esterno può tentare di ricostruire un quadro pressoché esauriente perché le persone coinvolte saranno sempre traumatizzate da alcuni eventi o avranno avuto un ruolo. E’ ciò che accade con “C’era una volta la Ddr” di Anna Funder (Feltrinelli). Funder è australiana, ha lavorato come avvocato per il governo australiano occupandosi di diritti umani, parla correntemente francese e tedesco e si è occupata in due libri della Germania. “C’era una volta la Ddr” ha vinto il Samuel Johnson Prize nel 2004, un premio britannico che viene conferito al miglior saggio pubblicato in lingua inglese.
Nel libro Funder racconta i suoi incontri, avvenuti alla fine degli anni Novanta, con persone che vivevano nella Germania Est, vittime e carnefici. Racconta la storia di Miriam Weber, una giovane tedesca dell’est che a 16 anni tenta di scavalcare il muro ma viene arrestata e condotta in prigione. Subisce interrogatori, non la fanno dormire, le chiedono di diventare informatrice Stasi.

L’interrogatorio di Miriam Weber, sedici anni, si svolgeva tutte le notti per dieci notti per sei ore dalle dieci di sera alle quattro del mattino. Le luci nella cella venivano spente alle otto della sera, e lei dormiva per due ore prima di essere portata nella sala degli interrogatori. Veniva riportata in cella due ore prima che le luci venissero riaccese, alle sei. Non le era permesso di dormire durante il giorno. Una guardia la controllava dallo spioncino e se vedeva che cedeva al sonno picchiava sula porta.”

Nonostante la giovane età, la tempra di Miriam è già forte e non vacilla. Per tutta la vita subirà condizionamenti e pedinamenti da parte del servizio segreto della Ddr fino alla morte del marito, incarcerato per le sue idee politiche e ucciso dalle guardie penitenziarie. Marito che non potrà seppellire perché la Stasi ne farà sparire il cadavere. Gli abusi, le persecuzioni, le difficoltà e le tremende conseguenze di questo periodo storico fanno da contraltare alla versione di alcuni membri della Stasi che hanno acconsentito a parlare con Funder: raccontano come svolgevano il loro lavoro, come erano entrati in quel vortice e cosa pensavano all’epoca.

La narrazione storica è scandita come se si trattasse di un romanzo, quindi si alterna ai racconti di vita quotidiana e ai pensieri della scrittrice. A volte in modo eccessivo e non troppo efficace, Funder scrive ciò che pensa, ciò che vive, i suoi dubbi e le sue paure. Una modalità di scrittura che normalmente serve per stemperare la tensione che deriva dalla presa di coscienza delle atrocità commesse dal totalitarismo. Non è un saggio ma nemmeno un romanzo, forse si colloca meglio tra i reportage di viaggi. Si tratta comunque di un testo interessante e piacevole.


di Silvia Moranduzzo

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