La normalità del male

Il processo ad Eichmann diede occasione a molti di riflettere sulla natura umana e dei movimenti del presente. Eichmann tutto era fuorché anormale: era questa la sua dote più spaventosa. Sarebbe stato meno temibile un mostro inumano, perché proprio in quanto tale rendeva difficile identificarvisi. Ma quel che diceva Eichmann e il modo in cui lo diceva, non faceva altro che tracciare il quadro di una persona che sarebbe potuta essere chiunque: chiunque poteva essere Eichmann, sarebbe bastato essere senza consapevolezza, come lui. Prima ancora che poco intelligente, egli non aveva idee proprie e non si rendeva conto di quel che stava facendo. Era semplicemente una persona completamente calata nella realtà che aveva davanti: lavorare, cercare una promozione, riordinare numeri sulle statistiche, ecc… 
Più che l’intelligenza gli mancava la capacità di porsi il problema delle conseguenze e degli impatti delle proprie azioni.”
Hannah Arendt, La banalità del male

Le ultime notizie di cronaca fanno pensare che non esista più il senso del limite. Ragazzini di 13 o 14 anni che stuprano, umiliano, rubano, offendono, addirittura uccidono. I giornali titolano “Il branco lo riduce in fin di vita”, come se non si trattasse di persone ma di bestie. E’ quasi un gioco che però può avere conseguenze estreme. 
Il dizionario Treccani propone la definizione di “persona” in linguaggio filosofico come “l’individuo umano in quanto è ed esiste, ossia intende e vuole, esperimenta e crea, desidera e ama, gioisce e soffre, e attraverso l’autocoscienza e la realizzazione di sé costituisce una manifestazione singolare di quanto può considerarsi essenza dell’uomo, nella sua globalità intellettiva e creativa, e come soggetto cosciente di attività variamente specificate”. L’essere umano è capace di intendere e di volere perciò dovrebbe capire il significato delle sue azioni e dovrebbe comprendere che ogni suo atto ha una conseguenza. Significa forse che quando una persona commette il male ha la volontà di farlo? In alcuni casi, sì. In altri, probabilmente no. Pensare che un ragazzino di 14 anni possa desiderare di stuprare un coetaneo e capirne il significato più profondo, comprendere la sofferenza e il trauma che sta arrecando sembra inverosimile. Si può essere consapevoli di star rovinando la vita ad un altro essere umano e non sentirsi dei mostri?
L’uomo dovrebbe essere dotato di un’autocoscienza, una sorta di meccanismo che aiuta a comprendere cosa è bene e cosa è male. Se tanta brutalità si sta diffondendo nei ragazzi e nelle ragazze sotto i 20 anni, è possibile parlare ancora di autocoscienza?

La psicoterapeuta Maura Manca, docente di Psicologia del rischio in età evolutiva all’Università de L’Aquila, ha affermato: “Il termine violenza deriva dal latino “vis” che significa “forza” e racchiude il concetto di violazione, di impulso brutale e il rapporto distorto con la persona sulla quale si compie un abuso di potere o di forza che determina un danno. Essa rappresenta il lato distruttivo dell’aggressività, per cui la persona presa di mira diventa l’oggetto della violenza e viene deumanizzata, cioè spogliata della sua dignità tale da escludere, nei suoi confronti, qualsiasi sentimento di identificazione”. Spesso è il gruppo dei pari a fare pressione perché si commetta un crimine: agisci in un certo modo e sarai parte di qualcosa, sentimento che in adolescenza si manifesta in modo determinate. Oppure non si accetta il comportamento dell’altro e si decide che l’unica soluzione sia eliminarlo, quasi si trattasse di un oggetto ingombrante. Avere la facoltà di decidere della vita o della morte di qualcun altro significa avere potere. Un potere subdolo e insidioso: non è solo la vittima a farsi male. Anche il carnefice porterà i segni di ciò che ha fatto. Il rimorso, qualora giungesse, potrebbe sopraffarlo.


di Silvia Moranduzzo

Commenti

Post popolari in questo blog

Arcella, sicurezza dalla luce Giordani: Led nel quartiere e per la zona della stazione

La battaglia di mister "Mocio Vileda": "Un centro commerciale davanti al Catajo? Se lo faranno chiuderò al pubblico il castello"

Sciarpe rosse e lacrime per l’addio a Giselda