Mattarella e il conflitto israelo-palestinese: il tentativo di inserirsi nel processo di pace

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ultimato la visita in Israele e Palestina durante la quale ha avuto colloqui sia con Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, sia con Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese. I temi affrontati sono stati il terrorismo e la pace tra Israele e Palestina, sulla quale il Presidente ha riproposto la soluzione dei due Stati. Tale idea viene perseguita dall’inizio del conflitto da tutti gli attori internazionali che hanno cercato di mettere mano alla questione.
Il terrorismo è una piaga da combattere con determinazione e l'Italia si sente chiaramente coinvolta nella sicurezza di Israele. Anche per questo preoccupa lo stallo dei negoziati con la Palestina, uno stallo che accresce il pericolo e l'islamismo radicale. Per cui la soluzione dei 'due stati' va perseguita con determinazione” ha detto il Presidente Mattarella. Sicuramente l’instabilità della situazione costituisce terreno fertile per coloro che fanno uso della violenza, come dimostra la stessa la storia del conflitto arabo-israeliano. La nascita di Hamas, gruppo estremista palestinese, si deve infatti anche alla debolezza socio-politica che al-Fatah ha dimostrato nel contrastare un Israele finanziato e armato direttamente dagli Stati Uniti. Hamas si è alleato con alcuni gruppi jihadisti già dagli anni ’90: essendo la popolazione palestinese vessata dallo Stato ebraico, il discorso politico è stato facilmente contaminato dall’estremismo religioso.
Dal canto suo, Abu Mazen chiede all’Italia di riconoscere la Palestina, come hanno fatto anche altri governi. Richiesta lecita: se si vuole trattare con un governo è necessario riconoscerlo, altrimenti il governo non riconosciuto non può essere considerato un interlocutore. Infatti Abu Mazen ha dichiarato: “La pace e' il nostro obiettivo strategico e per ottenerla bisogna mettere fine all'occupazione israeliana secondo la Soluzione dei due Stati in modo che israeliani e palestinesi vivano in pace e prosperità uno a fianco all’altro”. Finché Israele manterrà l’occupazione non ci potranno essere soluzioni di pace. Finché il terrorismo palestinese non si placherà Israele non abbatterà il muro che ha costruito nel 2002 dopo la seconda Intifada, non smetterà con la politica ignobile dei permessi per entrare e uscire dalla Cisgiordania (da Gaza è impossibile fuggire, è un’enclave chiusa di violenza e terrore), non toglierà i soldati da ogni angolo delle città. 
Il problema riguarda anche la comunità internazionale. Ogni volta che in ambito Onu si discute di risoluzioni che condannano Israele, gli Stati Uniti pongono il veto. Israele non è mai condannabile a livello internazionale nonostante la continua espropriazione di abitazioni, nonostante i soprusi e le violenze. Nella città vecchia di Gerusalemme un palestinese può essere costretto ad abbandonare la sua casa. E’ sufficiente che un soldato mostri un documento attestante la volontà di un israeliano di insediarsi in quel luogo. Se il palestinese non lascia la sua casa, viene arrestato. Oppure ancora, se una donna partoriente deve attraversare un checkpoint per andare all’ospedale e non ha il giusto permesso per attraversarlo, i soldati la lasciano partorire sulla strada, di fronte al gate del checkpoint. Nove volte su dieci il bambino non sopravvive e spesso nemmeno la madre.
Come può essere che una delle nazioni che vengono considerate portatrici dei valori della democrazia e dell’inclusione come gli Stati Uniti non si oppongano mai? E’ semplice. L’elettorato ebraico è molto forte in America, agire contro Israele, anche solo simbolicamente, vorrebbe dire perdere moltissimi voti e finanziamenti.
Dal punto di vista interno, Israele ha ora un governo di destra, poco incline a negoziare con i palestinesi. Storicamente, il Likud, il partito di Netanyahu, ha sempre avuto mire sulla Cisgiordania, ha sempre dichiarato di volere portare avanti la politica degli insediamenti per tenere sotto controllo il West Bank, zona sacra anche per gli ebrei. Con una linea politica del genere le parole servono a poco. Per avere una soluzione servono aperture da entrambe le parti. Abu Mazen sembra disposto a trattare, secondo le ultime dichiarazioni: “Non abbiamo preclusioni, io sono anche per un negoziato diretto […] È sempre nella nostra agenda [la soluzione dei due Stati], come in quella dell'Onu: uno Stato palestinese entro i confini del 1967; noi siamo pronti a una soluzione politica ecco perché sosteniamo anche l'iniziativa del presidente Hollande di organizzare una conferenza internazionale che ci possa aiutare ad andare verso questa soluzione”. 

La soluzione del conflitto israelo-palestinese è sempre stata a due passi dal compimento. Ogni volta che si trovava un accordo c’era poi un motivo per non rispettarlo. Sono più di 70 anni che palestinesi ed ebrei si combattono. La ragione non sta da nessuna parte. La ragione sta nei civili uccisi, nei bambini costretti a subire la guerra.


di Silvia Moranduzzo

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