23 maggio 1992: la strage di Capaci

25 anni fa una bomba scoppiava sull’autostrada A29, presso lo svincolo di Capaci, a pochi chilometri da Palermo. L’ordigno, secondo le carte giudiziarie, fu posto da Cosa Nostra. L’obiettivo era il giudice Giovanni Falcone. oltre al magistrato, Persero la vita anche la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Sopravvissero tre agenti e l’autista. Vito Schifani era alla guida della prima delle tre Fiat Croma che componevano il convoglio: alla sua destra Montinaro e seduto dietro Dicillo. Falcone guidava la seconda auto, con la moglie a fianco e l’autista dietro. 
Schifani aveva 27 anni, una moglie di 22 e un figlio di 4 mesi. Montinaro era il capo della scorta di Falcone, aveva 30 anni. Sua moglie Tina è una delle promotrici dell’associazione vittime di mafia. Avevano due figli. Dicillo aveva 30 anni e, alla sua morte, gli sono state intitolate una piazza e una via nella sua città natale, Triggiano.
Giovanni Falcone lavorava con Paolo Borsellino, ucciso anche lui dalla mafia qualche settimana più tardi a via d’Amelio. Le loro indagini partivano dall’assunto che esistesse una “trattativa Stato-mafia”, argomento molto delicato e scomodo. Si può immaginare che gli apparati statali, oltre le cosche mafiose, non gradissero tale ipotesi.
Sembra che l’omicidio di Falcone sia stato deciso dopo alcune riunioni svoltesi tra il settembre e il dicembre 1991 tra i boss di Cosa Nostra e presiedute da Salvatore Riina. Sarà proprio Riina, nel 2004, a sostenere che i servizi segreti avevano preso parte alle stragi di Capaci e via d’Amelio.
La Direzione Investigativa Antimafia ha arrestato i tre mafiosi che hanno materialmente compiuto la strage: Antonino Gioè, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Gioè si è suicidato in cella, mentre gli altri due hanno deciso di collaborare con la giustizia. Per questo, il figlio di Di Matteo venne rapito, strangolato e sciolto nell’acido. Nel 1997 sono stati condannati all’ergastolo una lunga schiera di mafiosi: Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Leoluca Bagarella, Giuseppe Calò, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo La Barbera, Salvatore e Giuseppe Montalto, Matteo Motisi, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera, Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia, Leoluca Bagarella, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Raffaele e Domenico Ganci, Pietro Rampulla, Antonino Troia. Giuseppe Agrigento è stato condannato per detenzione di materiale esplosivo, mentre i collaboratori di giustizia Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Antonino Galliano e Calogero Ganci sono stati condannati a pene tra i 15 e i 20 anni di carcere. Nel 2000 la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta ha condannato all’ergastolo anche Salvatore Buscemi, Francesco Madonia, Antonino Giuffrè, Mariano Agate e Giuseppe Farinella, sentenza annullata nel 2002 dalla Corte di Cassazione. Nel 2003 i processi per la strage di Capaci e di vi d’Amelio sono stati accorpati perché avevano gli stessi imputati. Nel 2014, dopo varie vicende giudiziarie, è stato aperto il processo “Capaci bis”: sono stati condannati all’ergastolo Giuseppe Barranca e Cristofaro Cannella, mentre Cosimo D’Amato è stato condannato a 30 anni di carcere e il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza a 12.
I magistrati avevano aperto anche un secondo troncone di indagini definito “Mandanti occulti” in cui comparivano i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Le indagini sono state archiviate.

Persone provenienti dalla politica e dalla stampa hanno screditato il lavoro di Falcone e Borsellino quando erano in vita quasi a volerli scoraggiare nel continuare le loro indagini. Oggi, alcune delle persone che li denigravano in passato li dipingono come eroi, ritrattando ciò che affermavano più di 20 anni fa. Nonostante tutto, i due magistrati non hanno mai smesso di scavare nel mondo mafioso per consegnare i criminali alla giustizia. Sono stati uccisi prima dalla cattiva reputazione che è stata creata intorno a loro e sono stati uccisi una seconda volta dalla mafia. Se si dimenticassero il loro lavoro e le loro sofferenze morirebbero una terza volta.


di Silvia Moranduzzo

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