Il ddl sul reato di tortura è decisamente ambiguo

E’ stato approvato al Senato il disegno di legge sul reato di tortura grazie ai voti della maggioranza, di Forza Italia e Movimento 5 stelle. Contrari Lega Nord e Sinistra Italiana. Il testo della legge ha suscitato molte polemiche, per esempio Amnesty International ha commentato: “La priorità è stata quella di voler proteggere gli appartenenti all’apparato state anche quando commettono gravi violazioni dei diritti”. Sembra che non siano soddisfatti nemmeno gli ufficiali di polizia che lamentano l’ambiguità di molte parti della legge. Loredana De Petris di Sinistra Italiana ha affermato: “Con una legge simile, gli appigli per la difesa saranno infiniti. La legge c’è sulla carta, ma sarà del tutto inutile nei tribunali”.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando difende il ddl perché, a suo avviso, è un passo in avanti per introdurre questo nuovo reato. I passi avanti è bene farli ma nella giusta direzione: se si legifera in modo ambiguo non si risolve il problema del vuoto normativo.
E’ prevista la prescrizione, elemento che avvalora le argomentazioni dei contrari al ddl perché spesso i processi per reati simili sono molto lunghi, quindi il rischio che il colpevole non venga punito è alto.

Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da tre a dieci anni. Il reato, viene specificato, è commesso mediante più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

Non è chiaro cosa si intenda con “più condotte”: lascia intuire che se l’atto di tortura viene compiuto una sola volta non è punibile.

Se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o da un incaricato di un pubblico servizio nell’esecuzione del servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni.

In questo caso, dopo aver scontato la condanna, un agente torna al suo lavoro? Continuerà a far parte del corpo armato dal quale proveniva?

Se dal reato deriva una lesione personale le pene sono aumentate: se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dal reato deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di trenta anni. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è l’ergastolo. Non sussista nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.


Come si fa a determinare se vi sia una lesione personale? Cosa vuol dire “lesione personale”? Non è chiaro neanche come si fa a stabilire se la morte della vittima sia stata voluta o meno. Non sono specificate le “legittime misure privative o limitative di diritti”, quindi si crea ambiguità.


di Silvia Moranduzzo

Commenti

Post popolari in questo blog

Arcella, sicurezza dalla luce Giordani: Led nel quartiere e per la zona della stazione

La battaglia di mister "Mocio Vileda": "Un centro commerciale davanti al Catajo? Se lo faranno chiuderò al pubblico il castello"

Sciarpe rosse e lacrime per l’addio a Giselda