Sfiorando il muro
In occasione della messa in onda televisiva del film "Sfiorando il muro" su Rai 1 questa sera (domenica 24 novembre 2013), pubblico il pezzo che ho scritto subito dopo averlo visto al cinema. Buona lettura, ma soprattutto, buona visione!
Quando ho preso posto in sala, non sapevo cosa
aspettarmi da questo documentario. Ogni volta che si parla di “Anni di Piombo”
si citano i soliti stereotipi: le armi, la violenza, le bombe. Le persone
coinvolte direttamente o indirettamente, come Silvia Giralucci, il cui padre è
stato ucciso dalle BR, ripetono le stesse cose da anni. Il motivo del mio
stupore, è che Silvia non lo fa. Ha condotto una ricerca tanto personale quanto storica con una
maestria che ho visto in poche persone. Ha intervistato sia ex missini sia ex
autonomi, ha portato sullo schermo le molte facce di quella medaglia sporca di
sangue che sono gli anni Settanta.
Attraverso questo cortometraggio (in onda
domenica 24 novembre su Rai 1 alle 23.30), Silvia è riuscita a trasmettere allo
spettatore sia il suo disagio personale, ponendosi legittime domande sulla
morte di suo padre, sia il disagio di una generazione che non capisce il motivo
di quella violenza, di quella brutalità. Il merito più grande di questo
documentario sono le domande, che ancora non hanno risposta, lasciate a chi
guarda: perché di quel periodo sono così pochi a volerne parlare? Perché tutta
quella violenza?
Il film tocca moltissime questioni irrisolte che
sarebbe bene approfondire. La prima che mi ha colpito è stata la domanda:
perché la morte di un fascista vale meno? Se la vita di ognuno ha la stessa
importanza, perchè il colore politico dovrebbe rendere un uomo o una donna
differente di fronte alla morte. Giro la domanda in altro modo: perché la morte
di un brigatista dovrebbe valere meno? E’ pur sempre una vita umana. Credo che
quando si riuscirà a vedere le morti degli “Anni di Piombo” al di là delle
ideologie politiche che caratterizzavano la persona, avremmo davvero fatto un
passo avanti nella comprensione di quel periodo che, come dice bene Silvia, è
ancora un tabù.
In questo film, Raul Franceschi, un Autonomo
emigrato in Francia grazie alla dottrina Mitterrand, parla di sconfitta del
movimento. Non sono convinta che si possa parlare di vincitori e vinti in
questa guerra: hanno perso tutti dal momento in cui è stata presa una pistola
in mano. Non sono d’accordo nemmeno con quanto ha detto Stefania Paternò: la
guerriglia urbana degli anni Settanta non era un gioco di gang di strada. Era
una vera e propria guerra basata su ideologie in un momento in cui i partiti
non sono stati in grado di assorbire le richieste del ’68, dirottando verso la
violenza e le armi i bisogni di migliaia di giovani sperduti, che non sapevano
a chi rivolgersi se non alla rabbia di non essere ascoltati dalle istituzioni.
Le domande che pone “Sfiorando il muro” sono le
domande di un’infanzia spezzata, di una bambina a cui è stato portato via il
suo papà e che non ne capisce il motivo. Sono domande lecite e pertinenti. Sono
domande a cui bisogna aggiungerne altre: perchè non si è stati capaci di arginare
la violenza? Non si deve cercare un colpevole, ma una spiegazione, che non può
essere data da chi di quegli anni porta i segni. Spero vivamente che
documentari come quello di Silvia Giralucci possano trovare il giusto spazio
nel dibattito pubblico; tuttavia le vere risposte, le risposte storiche e
politiche che riguardano i movimenti sorti negli anni Settanta, non le potranno
più dare le vittime, perchè le vittime non deve gravare su di loro questo
compito. Esse già devono
raccontare il loro dolore, devono continuare a mantenere viva la memoria di chi
non c’è più, a cercare risposte alle loro domande personali; ma serve altro.
Magari, tra altri quarant’anni, i nostri figli o i nostri nipoti riusciranno ad
eseguire un’analisi completa e imparziale di un periodo così complesso, senza
vincitori né vinti, senza colpe e senza meriti.
Silvia Moranduzzo
Silvia Moranduzzo
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