La mafia uccide solo d'estate
“Papà, ma la mafia ucciderà
anche noi?”
“Tranquillo! Ora siamo in
inverno; la mafia uccide solo d’estate.”
La Mafia Uccide Solo D’Estate è un film di Pif
(pseudonimo di Pierfrancesco Diliberto), di cui, oltre che esserne
l’interprete, è anche regista e sceneggiatore.
La storia parla della lotta alla mafia dal punto di
vista di Arturo (Pif, da bambino interpretato da Alex Bisconti), un giovane
palermitano, dalla sua infanzia fino all’età adulta; oltre alla presentazione
delle varie stragi, il film racconta anche le vicende affettive del
protagonista e del suo amore per la compagna di classe Flora (Cristiana
Capotondi, da bambina interpretata da Ginevra Antona), con la quale alla fine
si metterà insieme e che sarà poi la madre di suo figlio.
Il film, girato nel 2013, vede una genesi
interessante a causa della complessità delle vicende narrate: lo sceneggiatore
Marco Martani, dopo aver visto una puntata dedicata alla mafia sul programma Il
Testimone, contatta Pif, il quale stava già lavorando da quattro anni ad un
progetto che narrasse la lotta alla mafia a Palermo, luogo dove è ambientato
tutto il film.
Lo stesso Pif ha al suo attivo molta esperienza in
campo cinematografico e nel campo dei reporter: nel 2000 era aiuto regista di
Marco Tullio Giordana durante le riprese del film I Cento Passi, biopic
sulla vita di un altro eroe della lotta alla mafia, Peppino Impastato
(interpretato da Luigi Lo Cascio), film che ha ricevuto quattro David di
Donatello e il premio per la miglior sceneggiatura alla Mostra del Cinema di
Venezia; nel 2001 approda al programma televisivo Le Iene, spacciandosi
per un inviato alle feste della Lega o per un abitante dell’Italia
settentrionale in Sicilia. Nel 2007, dopo essere stato VJ all’MTV Day 2007,
crea un suo programma, Il Testimone; nel 2011 aderisce alla campagna di
MTV Io Voto, una campagna multimediale per spingere i giovani ad
interessarsi e ad inserirsi nella politica. Nel 2012 compare nel libro Dove
Eravamo. Vent’anni Dopo Capaci e Via D’Amelio (Caracò Editore) il suo
racconto Sarà Stata Una Fuga Di Gas.
Il giornalista Aldo Grasso ha elogiato il modo di
investigare e spiegare di Pif sulle questioni scottanti e spinose, definendolo “un
giornalismo d’inchiesta innovativo che ha molta presa sul pubblico più giovane”.
La vicenda racconta, in un alternarsi di humor e
drammaticità, come la vita di Arturo - come quella di molti palermitani - sia
legata, in un modo o nell’altro, alla mafia: per esempio, la sua prima parola è
“mafia”; confida le sue pene d’amore per Flora al magistrato Rocco Chinnici;
intervista il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa pochi giorni prima
dell’attentato.
In Arturo la sua curiosità per la mafia cresce in
maniera ingenua, curiosa e graduale: all’inizio è solo un bambino che venera la
figura di Andreotti perché ad un programma di Maurizio Costanzo dà la risposta
di cui Arturo ha bisogno, ovvero come si è dichiarato ad una ragazza; esprime
questo mito per Andreotti in maniera stranamente curiosa, per esempio ritagliando
le sue foto dai giornali o vestendosi come lui per Carnevale (e riuscendo a
imitarlo piuttosto bene in una scena grottescamente comica). Da piccolo inizia
la passione per il giornalismo grazie all’affittuario dell’appartamento
appartenuto a suo nonno, Francesco, e questo incontro lo indurrà a partecipare ad
un bando giornalistico per bambini, “Palermo Per Un Giorno”. Verrà poi
pubblicata sul giornale locale l’intervista fatta a Dalla Chiesa, in cui Arturo
gli chiede: “Se il Presidente Andreotti dice che l’emergenza mafia è in
Campania e in Calabria, Lei cosa ci sta a fare qui? Ha sbagliato posto?”;
si sentirà poi in colpa per quella domanda, giudicata sbagliata, e Francesco lo
porterà al funerale del Generale, dove Arturo spera di incontrare Andreotti, il
quale non partecipa alla funzione dicendo che preferisce “partecipare ai
battesimi”.
Da adulto la percezione di Arturo cambia,
soprattutto quando viene ingaggiato da Flora, assistente di Salvo Lima, a
riprendere la campagna elettorale della DC e i comizi di Lima per conto della
piccola televisione locale per cui lavora; accetta di partecipare solo per
poter stare accanto a Flora, la ragazza che ama, e glielo dice il chiaro e
tondo quando legge il discorso che lei ha preparato per Lima, un discorso
chiaramente contro la mafia che, a detta di Arturo, il democristiano non
avrebbe mai pronunciato.
Verso la fine del film ci sono le scene che possono
essere considerate epiche.
La prima è il funerale di Paolo Borsellino dopo
l’attentato: Arturo e Flora finalmente si baciano e, insieme alla folla,
riescono a spezzare i ranghi della polizia per potersi avvicinare alla chiesa
di Palermo dove si svolgono i funerali del giudice.
La seconda scena è la nascita del figlio di Arturo e
Flora: fin dalla sua nascita Arturo, per proteggerlo dalla mafia e al tempo
stesso fargli conoscere in cosa consisteva e consiste, lo porta nei luoghi dove
ci sono stati gli attentati, raccontandogli il contributo che ognuno di questi
uomini ha portato nella lotta alla mafia.
Nel film non compare solo la lotta alla mafia da
parte di questi eroi che noi tutti dovremmo conoscere; compare anche il muro di
omertà che avvolgeva Palermo in quegli anni, la testarda decisione di voler
negare la presenza della mafia a tutti i costi, anche davanti a prove schiaccianti
come arresti e attentati, e di voler invece continuare a vivere la propria vita
come se niente fosse. Un esempio eclatante è quando ad Arturo viene detto che
tutte quelle persone sono state uccise in maniera così barbara perché “andavano
a fimmine”; oppure il voler continuare a dire che la mafia non esisteva,
che la situazione era sotto controllo, che tutto andava bene - lo stesso
Andreotti, come scritto poco fa, aveva insistito che l’emergenza mafia era da
localizzarsi in Campania e in Calabria. Oppure (peggio ancora), il voltare la
testa davanti agli omicidi, come nel caso di Salvo Lima: quando Arturo corre a
vedere la scena, abbandonando in macchina il suo datore di lavoro, chiede se
per caso ci fosse anche Flora, ricevendo invece dagli astanti un “non ho
visto niente, non so…”.
Il voler portare il figlio a vedere tutti quei
luoghi che hanno segnato la vita di Arturo è, a mio avviso, un modo per fare ammenda
a tutta quell’omertà che c’era stata, il suo voler chiedere scusa per tutto
quell’isolamento a cui uomini come Chinnici, Cassarà, Falcone e Borsellino sono
stati costretti - non solo dallo Stato, ma anche dalle persone comuni. L’omertà
c’è anche nella rassicurazione del padre - “la mafia uccide solo d’estate”
- una frase che in parte è comprensibile, visto che in genere si vuole
preservare l’innocenza dei propri figli il più possibile; ma dall’altro lato
c’è il voler sminuire un fenomeno di una portata così vasta solo per poter
continuare a vivere la propria vita come se niente fosse.
Un muro che resta da abbattere ancora oggi.
Impressionante, invece, come lo humor nero di Pif
riesca a tratteggiare anche i boss mafiosi che appaiono nel film; tra questi
Totò Riina (interpretato da Antonio Alveario): l’incontro vero e proprio con il
boss avviene in ospedale, quando Arturo è insieme al padre per poter vedere al
nido il fratellino appena nato; accanto a lui c’è una bambina appena nata,
Maria C. Riina, e accanto al padre e al figlio c’è proprio il boss, intento a
fare boccacce intenerite alla neonata. Un uomo che mette paura ad Arturo e che
spinge il padre a rassicurare il figlio e al tempo stesso a portarlo via dal
nido. Interessante è anche vedere come si svolgevano le dinamiche delle
relazioni in un clan mafioso, anche a livello sentimentale: affinché un boss
possa sposare la ragazza che ama e, purtroppo per lei, figlia di divorziati,
Riina suggerisce di ammazzarle il papà, in modo che risulti orfana di padre e
per evitare così uno scandalo. Una scena comica ma più tardi tragica e piena di
significato è il contatto tra Riina e la tecnologia: all’inizio non riesce a
capire come far partire il climatizzatore nel suo bunker; e quando lo capisce,
trova anche il modo per uccidere Giovanni Falcone.
Un altro personaggio che sicuramente merita di
essere menzionato è Flora, la ragazza di Arturo: da piccola mostra poco
interesse per Arturo e, se lo dimostra, non è allo stesso livello del bimbo,
che non è il solo a contendersi il cuore dell’amica, di cui è attratto anche
Fofò, un compagno di classe dei due protagonisti, molto presuntuoso e saccente
che si prende il merito dei dolcetti che Arturo faceva trovare anonimamente sul
banco di Flora. La bambina poi passerà il resto della sua infanzia e la sua
adolescenza in Svizzera, perché, stando al padre banchiere, “lì non ci sono
i giudici”; abita nella stessa palazzina di Chinnici, che segretamente fa
il tifo per entrambi, e il giorno della partenza la cameretta della bambina sarà
devastata dalla bomba che scoppierà davanti al palazzo e che toglierà la vita
al magistrato. Ritornerà a Palermo da adulta, come assistente di Salvo Lima e
quando Arturo le dirà che il politico non pronuncerà mai il discorso scritto da
lei contro la mafia - e come poteva pronunciarlo, lui che a suo tempo aveva
avuto contatti con Cosa Nostra? - e che aveva accettato quel compito solo per
starle accanto, Flora lo caccerà via, sentendosi tradita. Sarà il funerale di
Borsellino a riavvicinarli e sarà accanto a lui quando porterà il figlio nei
luoghi simbolo della lotta alla mafia.
Personalmente, come molti italiani, non conosco fino
in fondo tutta la vicenda della lotta alla mafia, tutte le faide che ci sono
state, gli attentati che si sono succeduti, chi ha collaborato e chi ha ucciso;
però conosco, anche se a grandi linee, i fatti principali, conosco le figure
importanti come il Generale Dalla Chiesa, i magistrati Falcone, Borsellino,
Cassarà, poliziotti e carabinieri come Boris Giuliano ed Emanuele Basile.
Sono solo alcuni dei nomi che sono noti di questo
periodo tragico e ancora oscuro della storia italiana; sono nomi di uomini che
si sono ritrovati soli, senza il supporto della gente e senza l’aiuto dello stato
italiano (e in questo caso, ci tengo a precisare che le iniziali maiuscole di
queste due ultime parole sono volutamente evitate). Si sono ritrovati soli
anche in punto di morte. Emanuele Basile fu ucciso il 4 maggio 1980 durante i
fuochi di Monreale, davanti alla moglie e alla figlia di quattro anni, e il
sospettato dell’omicidio, Vincenzo Puccio, sarà assolto tre anni dopo da questa
accusa; nessuno dei presenti, però, accorse per fermare l’assassino. Cassarà fu
ucciso sotto la palazzina in cui abitava, anche in questo caso davanti agli
occhi della moglie e della figlia, e nessuno prestò orecchio alle urla di aiuto
della donna.
Uomini soli, costretti talvolta a nascondersi (come
nel caso di Falcone e Borsellino), a vivere sotto scorta (molti uomini e donne
che scortavano i magistrati sono stati giustamente inseriti tra i nomi delle
vittime di Cosa Nostra), si sono visti rifiutare cose banali come l’acquisto di
un appartamento, non hanno potuto avere figli per non metterli in pericolo…ma
nonostante ciò, hanno voluto combattere, perché credevano nella giustizia.
Ci sono ancora poche luci e molte ombre su Cosa
Nostra e su molti omicidi, ci sono stati arresti e scoperte di rilevante
importanza; ma questi uomini ci hanno dato la speranza di poter migliorare le
cose, e ancora ce la danno grazie ai loro esempi e alle loro gesta.
Falcone disse che la mafia è un fatto umano, e che
come tutti i fatti umani, ha avuto un inizio e avrà prima o poi una sua fine.
Noi speriamo ancora in questo, ma finché al potere
ci saranno uomini che hanno contatti con i mafiosi, finché in Italia non si
farà luce su questo, la fine purtroppo sarà ancora lontana.
Ci sono stati molti film sul grande e sul piccolo
schermo che hanno parlato della lotta alla mafia, lotta intrapresa non solo dai
magistrati, ma anche da uomini semplici come Don Pino Puglisi, parroco nel
quartiere Brancaccio di Palermo, ucciso dai mafiosi il giorno del suo
cinquantaseiesimo compleanno a causa delle sue accese omelie contro i mafiosi e
a causa dei suoi programmi per aiutare i ragazzi di strada invischiati con le
cosche mafiose a intraprendere la via della legalità e di una vita normale
(vicenda raccontata nel film Alla Luce Del Sole, con Luca Zigaretti a
interpretare il parroco). Grazie al suo coraggio e alla sua umanità, don
Puglisi è stato beatificato da Papa Francesco nel 2013, il primo martire ucciso
dalla mafia.
A film come questo o I Cento Passi di
Giordana sulla vicenda di Peppino Impastato, o a film per la tv come le serie
di due puntate dedicate una a Giovanni Falcone (interpretato da Massimo D’Apporto,
con Emilio Solfrizzi nel ruolo di Borsellino e con Elena Sofia Ricci nel ruolo
di Francesca Morvillo, moglie del Giudice) e l’altra a Paolo Borsellino
(interpretato da Luca Zingaretti) si può aggiungere anche questo film; la mafia
non viene spiegata solo con parole giuridiche, non viene mostrato soltanto il
meccanismo dietro alle cosche, la logica delle alleanze fatte e disfatte, i
processi contro i mafiosi o i morti. Questo è un film in cui la mafia è
descritta e osservata da un punto di vista insolito e curioso: il punto di
vista di un bambino, la cui vita è segnata dalla mafia in modo altrettanto
insolito e curioso; un bambino che cresce e che prende consapevolezza dei
pericoli legati alla mafia, una persona che fin dalla più tenera età cerca di
rompere a modo suo quel muro di omertà che si era creato a Palermo.
È vero, è un film comico; o meglio, è anche
un film comico - perché, ammettiamolo, ci siamo fatti tutti una risata
divertita quando abbiamo visto Arturo vestito da Andreotti per Carnevale,
imitandone pure il modo di camminare, la gobba, le orecchie a sventola e il
vestiario. Ma penso che dietro questa comicità ci stia qualcosa di più profondo
su cui riflettere; e poi la verità delle cose può celarsi ovunque, ache dietro
ad una risata.
Personalmente credo che Falcone e Borsellino
avrebbero apprezzato questo modo tragicomico di descrivere la mafia e le sue
dinamiche e la lotta che ne è seguita.
L’unica cosa che c’è da spiegarsi è perché in alcuni
cinema film come questo vengono proiettati solo per due giorni perché in una
programmazione normale “non porterebbero grandi incassi”; ma se le sale erano
piene per vederlo, vuol dire che la ricerca della verità e la curiosità sono
più forti.
E ora aspettiamo che Pif si decida a regalarci un
altro film d’inchiesta con i suoi toni brillanti.
Francesca Santinello
Francesca Santinello
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