Assolto Hassan: il caso Alpi chiede ancora giustizia

L’omicidio di Ilaria Alpi ancora non trova giustizia dopo 22 anni. Hasci Omar Hassan è stato assolto dalla Corte d’appello di Perugia dall’accusa di aver partecipato all’omicidio della giornalista del Tg3 e del suo operatore Miran Hrovatin, avvenuto nel marzo del ’94 in Somalia. Hassan si è sempre proclamato innocente, ha scontato 16 dei 26 anni ai quali era stato condannato precedentemente. Anche la madre di Ilaria Alpi, Luciana, ha affermato di non aver mai creduto nella sua colpevolezza e in aula lo ha abbracciato. Hassan era il capro espiatorio di uno dei misteri italiani più intricati.
Ilaria Alpi era una giornalista del Tg3 inviata in Somalia per seguire la guerra tra fazioni che affliggeva il Paese. Viene uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Stava indagando su un traffico d’armi e di rifiuti tossici illegali dai Paesi industrializzati ai Paesi poveri dell’Africa, nel quale probabilmente erano coinvolti alcuni esponenti delle istituzioni italiane. E’ stato scoperto da un’inchiesta del 2015 del Tg3 che tali traffici erano portati avanti dal siriano Monzer al-Kassar e dal polacco Jerzy Dembrowski, due noti broker. Qualche tempo prima, era stato ucciso anche un informatore della giornalista, il sottufficiale del Sismi Vincenzo Li Causi, ex-appartenente a Gladio. Nemmeno lui ha mai ottenuto giustizia. 
Ilaria Alpi riceve funerali di Stato ma sul suo corpo non viene effettuata l’autopsia, al contrario del cadavere di Hrovatin che subisce un regolare esame. I taccuini della giornalista (sui quali erano presenti anche gli appunti dell’intervista al sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor) e alcune cassette dell’operatore spariscono misteriosamente e quando i bagagli della Alpi vengono restituiti alla famiglia presentano una violazione dei sigilli posti dalla polizia. Secondo i giornalisti che hanno raccolto i suoi effetti personali dopo la morte i block notes della giornalista erano 5. Nel bagaglio la famiglia ne ha trovati solo due, di cui uno vuoto e l’altro con poche righe. Il ministero degli Esteri trattiene un foglio sul quale erano appuntati alcuni numeri telefonici e che sembra si trovasse nel taschino della camicia di Ilaria. Cinque mesi dopo, il foglio viene restituito alla famiglia con una lettera dell’allora ministro degli Esteri Antonio Martino:

Nel corso del volo di rientro venne deciso, per motivi umanitari, di pulire, lavandoli, gli oggetti imbrattati di sangue. Non essendo possibile lavare il foglietto [due fogli formato protocollo, ndr] per evitare che si cancellasse quanto vi era scritto, si pensò di toglierlo dal sacco di plastica e di mettere al suo posto uno scritto, firmato dall’ambasciatore Plaja, in cui si precisava che veniva trattenuto. Il foglietto è stato poi preso in custodia dall’ex presidente della RAI, Demattè, che lo ha restituito allorché, tramite Plaja, ne venne fatta richiesta. Forse la decisione di trattenere il foglietto fu poco opportuna. Esso poteva essere consegnato alla famiglia nello stato in cui si trovava. Non ho però motivo di dubitare che l’intento sia stato positivo e che non vi era alcun intendimento di sopprimere documenti rilevanti”.

Allora si ipotizza una tentata rapina per spiegare la morte dei reporter.
Solo nel 1996 si ordinerà l’autopsia sul cadavere della giornalista, grazie al pm Giuseppe Pititto. Le prime perizie avevano riscontrato che i colpi di fucile che avevano ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin erano stati sparati da lontano, ma i periti assunti dalla famiglia Alpi confutano tale tesi. Pititto ordina quindi l’ennesima perizia, effettuata da un collegio di consulenti tecnici che stabiliscono che, in realtà, i colpi che hanno ucciso i reporter sono stati sparati a bruciapelo. Sul luogo dell’agguato era presente l’imprenditore italiano Giancarlo Marocchino che anni prima aveva dichiarato: “Non è stata una rapina. Si vede che sono andati in certi posti che non dovevano andare”. Il referto medico effettuato nel momento della morte è arrivato con due anni di ritardo alla famiglia: era nascosto in un cassetto di un ufficio della Marina militare.
Il magistrato della Procura di Asti, Luciano Tarditi, indaga sugli stessi traffici illeciti sui quali stava raccogliendo informazioni Ilaria ma la documentazione raccolta non è mai stata utilizzata per risolvere l’omicidio Alpi-Hrovatin. 
Nel ’98 viene ordinata una terza perizia, effettuata dagli stessi consulenti tecnici giudiziari che valuteranno l’omicidio di Carlo Giuliani a Genova il 20 luglio 2001. Secondo loro si è trattato di un colpo accidentale sparato da lontano. La famiglia Alpi non si rassegna e chiede allora l’acquisizione dell’immagine satellitare statunitense per chiarire la dinamica della morte della figlia una volta per tutte. L’immagine viene rintracciata e poi persa, in seguito ritrovata ma acquisita immediatamente dal ministero degli Esteri perché considerata irrilevante ai fini dell’indagine.
Entra in scena il capro espiatorio, Hassan, che il 12 gennaio 1998 si trovava a Roma per testimoniare alla commissione Gallo sulle presunte violenze dei soldati italiani in Somalia. Viene arrestato per duplice omicidio. Era stato l’autista della Alpi a fare il suo nome. Dopo un anno arriva la prima assoluzione. Tuttavia, nel 2000 la Corte d’Assise d’Appello di Roma ribalta la sentenza e lo condanna all’ergastolo, con l’accusa di appartenere al commando che ha ucciso Alpi e Hrovatin. 
L’attenzione sull’omicidio si riapre all’uscita del film nel 2003 “Il più crudele dei giorni” di Ferdinando Vicentini Ognani con Giovanna Mezzogiorno che interpreta Ilaria. Quello stesso anno la Camera dei Deputati istituisce una commissione parlamentare d’inchiesta che chiuderà i lavori nel 2006 senza alcun risultato concreto.
Nel 2007 la memoria di Ilaria e Miran subisce l’ennesimo affronto con la richiesta di archiviazione del caso da parte del pm Franco Ionta, visti gli scarsi risultati a cui l’inchiesta era giunta. Il gip Emanuele Cerosimo boccia la richiesta perché secondo lui si tratta di un omicidio su commissione con l’intenzione di far tacere Alpi e Hrovatin sui traffici illeciti di armi e rifiuti tossici di cui erano venuti a conoscenza in Somalia e che, a quanto pare, qualcuno vuole ancora tenere nascosti.

Il 25 marzo 2012 compare sul Fatto Quotidiano un’inchiesta di Andrea Palladino e Luciano Scalettari che, riportando documenti sinora inediti, dimostrerebbe che i traffici sui quali stava indagando Ilaria sono stati coperti da apparati dello Stato.


di Silvia Moranduzzo

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