Il punto sulla guerra in Siria

È con un senso di urgenza che rinnovo il mio appello, implorando, con tutta la mia forza, i responsabili, affinché si provveda a un immediato cessate il fuoco, che sia imposto e rispettato almeno per il tempo necessario a consentire l’evacuazione dei civili, soprattutto dei bambini, che sono ancora intrappolati sotto i bombardamenti cruenti”. Così parla Papa Francesco in merito alla guerra in Siria che si protrae ormai da più di quattro anni. Cominciata come guerra civile nell’ambito della cosiddetta primavera araba, è diventata di interesse internazionale tanto da coinvolgere Stati Uniti, Russia, Francia, Iraq, Iran, Arabia Saudita, Turchia e Qatar. 
La conta delle vittime non è facile a causa del caos nel quale imperversa la regione. Secondo le stime dell’Osservatorio siriano per i diritti umani ci sono state 215 mila morti, di cui 66.109 civili, comprese donne e bambini. I rifugiati che scappano dall’orrore sono circa 3,8 milioni e la metà di questi sono minori. La Turchia ne ha accolti 1,7 milioni, il Libano 1,2 milioni, la Giordania 622 mila, il Kurdistan iracheno 250 mila e l’Egitto 136 mila, mentre oltre 4,8 milioni di siriani vivono in luoghi che sono sotto assedio e, quindi, difficilmente raggiungibili. I bambini intrappolati nel conflitto sono più di 35 mila, secondo l’Unicef. Bambini che non giocano, non vanno a scuola, bambini che vedono morire i propri familiari, che non hanno cibo o acqua, bambini che non sono più bambini. “Siamo probabilmente di fronte alla più ingente perdita di vite umane in un'operazione della coalizione Usa in Siria” afferma Magdalena Mughrabi, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
La strage è cominciata il 15 marzo 2011 con le proteste pubbliche contro il presidente Bashar al-Asad e il sistema monopartitico. Inizialmente si tratta di dimostrazioni molto timide contro il partito Ba’th, probabilmente a causa della paura che incutevano i servizi di sicurezza di al-Asad, ma che dopo qualche giorno diventano imponenti e richiedono l’intervento delle forze militari. Il presidente siriano cerca di offrire alcune concessioni ma non riesce a sedare la rivolta. A Dar’a è il fulcro della protesta e viene assediata dall’esercito siriano che ottiene come risultato quello di far dilagare le manifestazioni a Latakia, Homs, Damasco e Aleppo. Dopo un mese cominciano a comparire organizzazioni islamiste assieme ai manifestanti, come la clandestina Fratellanza Musulmana. Il 4 giugno 2011 è lo spartiacque tra protesta e lotta armata perché è la prima volta che vengono impiegate armi durante una manifestazione a Jisr ash-Shugur. Il governo schiera l’esercito, i carri armati e gli elicotteri in una durissima repressione.
Stati Uniti ed Unione Europea esprimono indignazione per ciò che sta accadendo, anche se ancora non si parla di guerra civile. Nel frattempo si costituisce l’Esercito siriano libero da parte di alcuni ufficiali disertori di al-Asad. Questo è molto importante perché porta su un altro livello il conflitto. Ora si confrontano due eserciti a tutti gli effetti e gli scontri diventano ancora più violenti. La città fulcro della battaglia è ora Homs, definita la “Capitale della rivoluzione”. L’Esercito siriano libero avanza conquistando alcune città e avvicinandosi a Damasco, la capitale. Tuttavia al suo interno compaiono piccoli gruppi che cominciano a operare in autonomia. Il più importante è il Fronte al-Nusra, composto dai membri della branca irachena di Al-Qaeda che combattono la presenza americana nel Paese e intendono instaurare uno Stato basato sulla legge islamica, la sharia. Si tratta dell’ala più radicale del fondamentalismo sunnita e introduce gli attentati suicidi come nuova arma nella lotta al regime. Cominciano quindi a comparire obiettivi diversi che finiranno per sgretolare il fronte dei ribelli.
Il governo non fa altro che inasprire la repressione anche con l’utilizzo di bande shabiha: queste sono composte prevalentemente da siriani di religione alawita (la stessa di Bashar al-Asad) e sono privi di una reale struttura organizzativa. E’ con loro che il presidente realizza i peggiori massacri tra la popolazione civile, come la strage di Hula e quella di Al-Qubeir nelle quali vengono uccise rispettivamente 108 e 78 persone. Tutto questo cercando di scaricare la responsabilità sui ribelli. A maggio 2012 la comunità internazionale si muove e alcuni Stati espellono l’ambasciatore siriano dal proprio territorio e cominciano a sostenere i ribelli. La Turchia offre rifugio ai vertici militari dell’opposizione, mentre Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna forniscono equipaggiamenti e finanziamenti. Gli Stati arabi inviano armi e denaro prevalentemente a gruppi salafiti.
Anche il governo siriano ha i suoi sostenitori a livello internazionale. La Russia (che ha un accordo per l’utilizzo del porto di Tartus) invia personale tecnico per formare i militari siriani, l’Iran invia armi e finanziamenti.
I ribelli si concentrano ora su due città fondamentali: Damasco e Aleppo. La prima ha un’importanza strategica ma anche politica, essendo la capitale della Siria, la seconda è il cuore dell’economia del Paese. Damasco viene persa dai ribelli mentre la battaglia ad Aleppo si trasforma in una logorante guerra di posizione qui i ribelli conquistano, infatti,  solo alcuni quartieri.
Cominciano a muoversi anche i curdi che vedono nei ribelli degli alleati, ma non si fidano completamente a causa dell’appoggio fornito loro dalla Turchia. Avanzano fino ad occupare tutte le città a maggioranza curda nel nord del Paese (Kurdistan siriano).
In tutto questo sale il conto dei civili uccisi perché i bombardamenti e le battaglie non tengono conto di uomini, donne, vecchi e bambini che con la guerra non centrano nulla. Il nemico può anche avere sei anni se si trova nello stesso posto di un ribelle.
Nel frattempo la presenza di fondamentalisti islamici si rafforza nelle regioni orientali della Siria e arriva anche il sostegno di Hezbollah. Nel 2013 al-Nusra viene affiancato dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis): Abu Bakr al-Baghdadi, il suo leader, annuncia che al-Nusra non è altro che un’estensione dell’Isis ma il gruppo Qaedista rifiuta la fusione. Il capo di Al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, interviene cercando di sedare la frenesia di al-Baghdadi che invece vede nella guerra siriana un ulteriore passo verso la fondazione e l’espansione del califfato. I ribelli hanno, dunque, un altro fronte da combattere: l’Isis, che attacca l’Esercito siriano libero e i curdi. Ora non ci sono solo gli attacchi e gli attentati tra governo e ribelli, ma anche i fondamentalisti islamici cominciano la loro guerra portando avanti la “pulizia etnica” della Siria.
Gli americani intervengono nell’estate del 2013, a causa dell’utilizzo di armi chimiche che sarebbero state impiegate dal governo di al-Asad contro i ribelli. Gli Stati Uniti inviano navi da guerra e lo stesso fa la Russia, tanto che si teme un conflitto armato vero e proprio. Vari incontri tra i leader occidentali si tengono per tentare di risolvere la questione siriana ma non hanno esito positivo. Nel frattempo l’Isis si espande anche verso Baghdad e gli scontri con i ribelli creano solamente un maggior numero di morti. 
Dal settembre 2015 la Russia intensifica il suo impegno in Siria a favore di al-Asad e con l’obiettivo di combattere l’Isis, contro il quale vuole un intervento armato. Cominciano raid russi su Homs e Hama dove però non ci sono miliziani dello Stato islamico ma dell’Esercito dei ribelli.

A guerra ancora in corso si può affermare che per il popolo siriano sia già stata una carneficina e alcuni parlano di una possibile nuova guerra fredda. Secondo Putin manca completamente il dialogo con Washington. Inoltre, ha recentemente annullato una visita a Parigi perché sembra che Hollande non abbia preso in considerazione le sue proposte sulla Siria, mentre quest’ultimo accusa proprio Putin di aver affossato le trattative. Sembra che in Russia si stiano preparando ad un attacco: a Mosca è partita una raccolta fondi per costruire un rifugio anti-atomico, mentre a San Pietroburgo il governatore ha ordinato di accumulare riserve di grano. Ultimamente, a Strasburgo, Hollande ha dichiarato: “Ho fatto sapere al presidente Putin che se doveva venire a Parigi non l'avrei accompagnato per le cerimonie, ma che sono pronto a continuare il dialogo sulla Siria. Lui allora ha preferito rinviare, il che non impedirà che ci siano altre occasioni di discussione. Ma non verrà a Parigi”. Le schermaglie tra i potenti distraggono da quello che è il problema reale, ovvero la guerra siriana che ogni giorno miete decine di morti. I siriani non hanno cibo, acqua, medicinali, coloro che scappano spesso devono subire maltrattamenti e affrontare mille ostacoli per vedersi poi spesso respinti alla frontiera. Ma gli inconcludenti tavoli per la pace continuano, con le belle poltrone, le belle bandiere e le finte strette di mano.


di Silvia Moranduzzo

Commenti

Post popolari in questo blog

Arcella, sicurezza dalla luce Giordani: Led nel quartiere e per la zona della stazione

La battaglia di mister "Mocio Vileda": "Un centro commerciale davanti al Catajo? Se lo faranno chiuderò al pubblico il castello"

Sciarpe rosse e lacrime per l’addio a Giselda