Cafè Society: irriverente, divertente e ironico

La vita è una commedia scritta da un satiro che si finge un commediografo”. Ecco l’ironia tagliente di Woody Allen che si palesa come in ogni sua altra pellicola. Quarantasettesimo film del regista più odiato e amato di Hollywood, uscito al cinema lo scorso 29 settembre e presentato fuori concorso al Festival di Cannes, raccoglie luoghi comuni della società americana degli anni ’30 (o anche quella di oggi?) sbeffeggiandola senza risparmiare il mondo del cinema presentato come un luogo di perdigiorno, di corrotti e corruttori, di uomini adulti e potenti che si prendono gioco di ragazzine che mirano ad avere una posizione nel mondo e che tanto stupide non sono. Un mondo che non vuole intrusi, non vuole puri di cuore e se questi vi entrano marciscono. Un mondo brillante e luccicante che nasconde i peggiori vermi della terra.
Bobby, un ragazzo ebreo di New York, parte per Los Angeles in cerca di fortuna, dove lo zio lavora come agente delle star di Hollywood. Si innamora di quella che è l’amante dello zio e che al sentimento sincero di Bobby preferisce le lusinghe della luccicante "cafè society". Tornato a New York si rifà una vita diventando proprietario di un night club con il fratello mafioso, ma il passato tornerà a bussare alla sua porta.
I pregiudizi mostrati dal film sono tanti. Per esempio, il padre di Bobby, il protagonista, ha un naso prominente, tipico dell’immaginario sugli ebrei. Il fratello maggiore, appartenente alla malavita, uccide e ricopre di cemento chiunque non gli vada a genio: il suo animo è così corrotto che poco prima di finire sulla sedia elettrica si converte al cristianesimo perché la religione ebraica non contempla l’aldilà. 
Jesse Eisenberg è perfetto per il ruolo del ragazzo ingenuo e puro di cuore, troppo buono per vedere la malvagità negli altri. Al contrario, Kristen Stewart, che interpreta Vonnie, l’amore di zio Phil e di Bobby, è espressiva quanto un sasso. Non che questa sia una novità. Probabilmente la ricerca di un’espressione sul volto dell’attrice ha un suo pari con la ricerca del Graal.

I colori utilizzati sono tenui, quasi la pellicola fosse rovinata dal tempo. A Hollywood i toni prevalenti sono quelli caldi del giallo e del marrone, mentre a New York si passa ai più freddi grigi e blu, tranne nel momento in cui Vonnie ricompare nella vita di Bobby. Alla fine nessuno ha quello che vuole veramente, nessuno è soddisfatto della propria vita. Nessun vincitore e nessun perdente. I protagonisti hanno fatto delle scelte che li hanno portati ad una felicità meramente apparente, una felicità effimera e di facciata.


di Silvia Moranduzzo

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